mercoledì 27 aprile 2011

NUCLEARE? GUARDATE COSA FA LA GERMANIA

Questo è il mio intervento sul Giornale di Vicenza di oggi riguardo alle questioni ambientali su cui siamo chiamati a esprimerci nei referendum del prossimo giugno:

Nucleare e acqua: “più serietà e meno ideologia”, invocava qualche giorno fa su queste pagine Giancarlo Corò. E invitava le forze politiche ad affrontare due questioni così delicate ragionando sul merito anziché farne strumento di antigoverno. Raccolgo volentieri l'invito per due temi che investono da vicino anche il Consiglio Regionale, visto che si tratta di materie in cui le regioni sono chiamate a dire la loro, a iniziare dalle scelte energetiche.
Quali sono i costi ambientali ed economici della rinuncia al nucleare, ci si chiede? Ebbene il “fu” programma nucleare del governo italiano prevedeva un contributo alla generazione di energia elettrica pari al 25% del fabbisogno del paese. Confrontato con l'intero fabbisogno energetico italiano, che comprende anche le necessità legate ai consumi di calore e per i trasporti, si tratta del 6% complessivo. Questi numeri sono sufficienti a fugare le preoccupazioni di chi ritiene che il nucleare fosse la salvezza del bilancio energetico del futuro e che la sua rinuncia ci esponga a catastrofici risvolti economici. Contemporaneamente il governo ha fissato il contributo alla generazione elettrica da rinnovabili al 17% al 2020, nell'ambito della direttiva europea in materia. Per evidenziare la timidezza italiana in materia di fonti rinnovabili basti dire che il governo tedesco ha fissato nel 47% lo stesso obiettivo al 2020, e si tratta di una scelta fatta prima del disastro di Fukushima. Eh già, si dirà, ma i tedeschi il nucleare ce l'hanno in casa, senza sapere che per il 2020 il governo tedesco prevede che l'atomo contribuisca per l'1% per cento al fabbisogno elettrico. Certo anche la Merkel si è preoccupata dell'impatto emotivo, ma la ragione dell'inversione di marcia della Germania sta tutta nelle motivazioni economiche. Il governo te! desco ritiene che le rinnovabili costituiscano una straordinar! ia leva di sviluppo ed innovazione per l'industria, un settore a elevata crescita di occupazione qualificata, oltre che una fonte pulita e, appunto, rinnovabile. E in Italia? Il nostro governo è riuscito a far fallire contemporaneamente il proprio piano nucleare e lo sviluppo delle rinnovabili col recente decreto Romani. L'intero settore si trova nell'incertezza e proprio in queste ore il governo si appresta ad approvare il nuovo conto energia tra le proteste dei lavoratori e degli imprenditori del settore, per una volta uniti anziché divisi.
Si tratta, come si vede, di una scelta strategica che merita un dibattito serio al quale non debbono essere estranei i cittadini, visto che è in gioco davvero il futuro. Un convinto e concreto investimento nelle rinnovabili può permetterci non solo di sostituire il “fu” programma nucleare ma anche di ridare fiato al sistema economico nazionale che ha un disperato bisogno di crescere. Le politiche energetiche impostate da alcuni paesi europei (Germania in testa) lo dimostrano. A differenza di molti commentatori io non ritengo che il referendum sia uno strumento troppo condizionato dall'emotività. Vengono da referendum scelte storiche di modernizzazione del nostro paese, si pensi al divorzio, e su temi così importanti la partecipazione ampia dei cittadini è un segno di grande civiltà. Per questo si apra una seria discussione ma non si chiuda la porta alla voglia dei cittadini di pronunciarsi direttamente. Sarebbe un altro esempio della distanza della politica e del suo fuggire davanti alle domande della società.

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