sabato 4 aprile 2009


Gran Torino: ancora una lezione dal "vecchio" Clint
Perchè un uomo bianco, reduce della guerra di Corea, con la bandiera a stelle e strisce appesa fuori dalla porta deve trovarsi circondato da immigrati asiatici nel suo, e ripeto suo, quartiere? E difendere il suo piccolo giardino dalla scorribande di quattro teppisti immigrati? Fortuna che tiene in garage una vecchia Gran Torino ancora fiammante e ci fa credere di essere ancora l'ispettore Callaghan. E' per questo che lo seguiamo nella sua indignazione e nella sua intolleranza e lui ci porta dritto in casa dei musi gialli ma non per sparare, ma per mangiare strani piatti d'oriente, trovare ancora un pò di saggezza e di umanità. Clint si guarda allo specchio e dice:"mi trovo meglio con questi che con i miei figli". Figli che lo vorrebbero all'ospizio e forse lui se lo meriterebbe. Gran Torino racconta delle nostri pregiudizi e delle nostre ipocrisie con poche splendide immagini di un un quartiere nordamericano, ventoso e violento. Ma il caro vecchio Clint, regista e protagonista, ci capovolge pian piano la prospettiva con un finale spiazzante. L'ispettore Callaghan non c'è più, ma senza di lui non avremmo capito la saggezza di "non rispondere al male con il male".
Campo lungo: la Gran Torino si allontana, la strada corre lungo una riva, un lago forse. Dentro un giovane muso giallo con un cane. C'è il sole e ancora vento. Grande lezione Clint.