lunedì 7 luglio 2008

Lettera aperta all’Ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia







Egr.Sig.Ambasciatore,
mi rivolgo a Lei per manifestarle la tristezza che ho provato davanti alle immagini dei disordini e delle violenze a Lhasa.
Appena due anni fa, partecipando a una spedizione alpinistica in Tibet, avevo avuto modo di trascorrere qualche giorno nella città cuore e anima del grande altopiano e ammirare la profonda dedizione della popolazione locale alla tradizione religiosa buddista.
Sostai davanti al Jokhang, nel cuore più antico di Lhasa, e rimasi stupito delle migliaia di pellegrini che si prostravano davanti al tempio che conserva l’immagine del Budda più venerata del Tibet, Jowo Sakyamuni. E’ stata un’esperienza indimenticabile.
Oppure ricordo le lunghe file di tibetani che percorrevano in rigoroso senso orario il Barkhor, il circuito di pellegrinaggio della città vecchia. C’era in quel luogo e in quella gente una tal senso di profondità, di silenzioso rispetto, di antica e millenaria cultura religiosa, da generare un’autentica commozione.
Vedere sulla stampa auto rovesciate e incendiate, le bandiere della preghiera disperse sulla piazza davanti al più importante luogo dell’animo tibetano, dove si conserva quanto di più caro ha questo popolo, mi ha sinceramente sconvolto.
Apprendo che sono in corso scontri, violenze, che i monaci non possono uscire dai glorioso monastero di Drepung, splendido eremo aggrappato sui colli intorno a Lhasa, che ci sono vittime e feriti.
Le chiedo di fare quanto in suo potere per fermare la violenza, per far giungere presso il suo governo le preoccupazione mia e di tanti cittadini italiani che avendo goduto dell’ospitalità del suo paese, hanno potuto apprezzarne la storia, la civiltà e l’immensa bellezza del Tibet e dell’Himalaya e oggi assistono a questo dramma.
Vivendo in Italia Lei può immaginare se in piazza San Pietro vedessimo i segni della violenza anziché della devozione. Se un luogo così importante e significativo per la fede e la cultura occidentale diventasse teatro di soprusi anziché del messaggio di pace che ogni grande religione porta con sé.
Faccia quanto può perché i tibetani possano ancora percorrere il loro kora, il tradizionale giro intorno al tempio, continuare a consumare le pietre del selciato all’entrata del Jokhang sdraiandosi devotamente e offrire il burro di yak e la farina d’orzo alle cappelle dei Buddha millenari.
Sono certo che la cultura millenaria del suo paese saprà riconoscere il diritto di ogni uomo di esprimere in libertà fede, tradizione e cultura e assicurare al Tibet il rispetto dovuto a un tesoro dell’intera storia dell’umanità.
Ringraziandola per la cortese attenzione, Le invio distinti saluti.

Stefano Fracasso
Sindaco di Arzignano


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